domenica 27 gennaio 2013

stress- precarieta'- disturbi somatoformi

dinamic mosaic
orso castano : escludere , come viene fatto nel pur pregevole e ponderato articolo l'asse 4 del dsm4tr , cioe  quello che comunemente viene citato come "stress psicosociale" , vuol dire privare la discussione scientifica di un'area di osservazione importante che potrebbe essere usata anche nella psichiatria forense. Si aprirebbe cosi' una discussione scientifica sul quesito : possono essere i disturbi somatoformi , indotti da situazioni stressanti , che possono agire ad concausa in soggetti predisposti? e puo' essere considerata pa precarieta' e la perdita di lavoro una concausa nello sviluppo di detti disturbi somatoformi?
  ....................................DISCUSSIONE  da [DOC] 

PSICOPATOLOGIA DELLE SINDROMI DA STRESS - Inail 

www.inail.it/.../SINDROMIDASTRESSIaccarino.doc  x art. intero
I risultati ottenuti, pur risentendo delle incertezze nosologiche ancora esistenti in tema di patologie da stress, offrono l’opportunità di sottolineare alcuni aspetti, sia di ordine meramente clinico-diagnostico che di ordine medico legale, di notevole rilievo ai fini della presente indagine. In clinica le manifestazioni psicopatologiche conseguenti ad un evento stressante possono essere distinte in due grandi categorie in relazione alla rilevanza etiologica e, quindi, causale dell’evento stesso e al differente ruolo rivestito dalla struttura personale preesistente al trauma. Nei disturbi specificatamente connessi ad eventi stressanti l’evento assume un rilievo etiologico e, consequenzialmente causale, fondamentale. Tra questi paradigmatico è grave il disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Al contrario, in altre manifestazioni psicopatologiche l’elemento traumatico rappresenta, assieme ad altri, uno degli elementi che possono assumere un rilievo etiologico, quali i disturbi dell’adattamento, i disturbi dell’umore o quelli d’ansia, i disturbi somatoformi, per citare i più comuni. In tali casi la fenomenologia clinica obiettivabile, è determinata dalla estrinsecazione, patofisiogeneticamente rilevante, di molteplici fattori forniti di rilevanza etiologica e, quindi causale, tra i quali le caratteristiche oggettive degli eventi traumatici, i fattori individuali connessi alla struttura di base della personalità premorbosa preesistenti all’evento, la natura e il tipo di evento, la risposta soggettiva ed il supporto psico-sociale concomitante (Joseph, 2000). Ne deriva che, a parità di condizioni, un evento traumatico di intensità grave può determinare la possibilità che si instaurino disturbi psicopatologici di maggiore spessore clinico. Un tale tipo di valutazione, però, può essere effettuata solo nel caso di eventi discreti, facilmente identificabili, connotati da un aspetto traumatico facilmente riconoscibile: un’aggressione, uno stupro, un evento sismico, un infarto del miocardio, un grave infortunio sono traumi facilmente connotabili come tali ed agevolmente riconoscibili, per cui risulta sufficientemente agevole il riconoscimento dello stesso fattore originario fornito di rilevanza etiologica e causale. Al contrario, risulta molto più complesso e difficile valutare la gravità di esperienze che dipendono più ampiamente dalla valutazione che viene effettuata dalla persona, ossia le condizioni psicopatologiche nella quali un ruolo fisiopatogentico rilevante è costituito, oltre che dall’evento, anche dall’insieme dei fattori individuali. Tale difficoltà è resa ancor più evidente per la necessità di costruire e valutare a posteriori i fattori soggettivi ed oggettivi responsabili del determinismo di un quadro psicopatologico rilevante. D’altra parte, paradossalmente, alcune esperienze di particolare gravità non sembrano generare a distanza di tempo effetti negativi, mentre altre esperienze, magari oggettivamente meno gravi e violente, generano conseguenze durature e rilevanti: in questi casi le condizioni intrinsecamente legate al soggetto assumono una rilevanza peculiare (Yehuda, 1999), ma queste, come sovraespresso, rappresentano variabili di più complessa valutazione clinica e, soprattutto, medico legale. Una bassa autostima, ridotta controllabilità degli eventi, preesistenti disturbi psicopatologici o di disturbi psichiatrici nei familiari, caratteristiche di personalità per cui si tende ad affrontare un problema emotivo con strategie di ipercontrollo ed di evitamento, il sesso femminile, i giovani più che negli adulti, un basso livello socioeconomico, coesistenza disfunzioni relazionali familiari, precedenti esposizioni ad eventi stressanti, specie se non superati adeguatamente, secondo differenti studi, sono tra le variabili soggettive quelle che sembrano rivestire un ruolo di rilievo nella formazione di una risposta ad un evento traumatico. Inoltre, non va sottaciuta la rilevanza del fatto che un trauma abbia più possibilità di essere affrontato adeguatamente e superato se la vittima del trauma può beneficiare di relazioni sociali che le consentano di ottenere valido supporto emotivo, inteso come preesistente capacità della vittima di instaurare relazioni interpersonali solide e soddisfacenti (Van Atten e coll., 1998; Yehuda, 1999). Il primo tentativo di riconoscere un tipico profilo di personalità (Dunbar, citato da Kaplan et al., 1994) è giunto alla identificazione di differenti tipi di personalità, riconoscendo al cosiddetto tipo A, dominante, aggressivo ed irritabile, un ruolo predisponente alle affezioni dell’apparato cardiocircolatorio: tali risultati, non confermati in studi successivi, hanno il merito di aver tracciato una metodica di approccio antropofenomenologica. Eysenck (1991), nei suoi ormai classici studi ha riconosciuto diversi tipi fondamentali di struttura della personalità la cui identificazione appare fondamentale nella ricostruzione dei fattori individuali predisponenti una patologia da stress. Il tipo 1 che è passivo e trova difficile difendere se stesso e sostenere le proprie esigenze, ha tendenza a sottomettersi ed è incapace di esprimere i suoi sentimenti, il tipo 2 si lamenta di tutto e tende ad incolpare gli altri delle circostanze, il tipo 3 è rappresentato da una persona sempre in conflitto tra l’autonomia e la dipendenza da figure significative dalle quali subito si allontana appena si sente trascurato e alterna passività e aggressività, il tipo 4 è autonomo ed assertivo sa modificare il proprio comportamento per adeguarsi alle circostanze ed ama la creatività, il tipo 5 è razionale e controllato motivato da più da curiosità intellettuale che dall’emotività, il tipo 6 è antisociale ed egocentrico, esige molto dagli altri ma non da se stesso, segue i propri impulsi senza considerarne le conseguenze. Soltanto un profilo corrispondente al 4 tipo al questionario di Eysenck e Grossarth-Maticek è ottimale laddove invece i profili corrispondenti agli altri tipi, in particolare i profilo 1, 2 e 3, necessitano di interventi individuali finalizzati a realizzare le condizioni sufficienti che evitino l’innesto di sindromi da stress. Riteniamo alla luce dei risultati ottenuti nella presente indagine che un tale tipo di approccio possa avere un rilievo fondamentale ai fini preventivi con la identificazione ed il riconoscimento dei soggetti a rischio o che ben difficilmente possano sopportare un intenso carico di stress e nei quali, comunque, un evento traumatizzante di notevole spessore può essere responsabile del determinismo di una sindrome psicopatologica. Resta, però, irrisolto il problema clinico e medico legale fondamentale, ossia la concettualizzazione di un evento affinché possa rivestire il ruolo causale di stress, del quale nel corso del tempo sono state fornite molte definizioni differenti e talora persino contraddittorie. In modo molto generale, possiamo definire uno stress, che deriva etimologicamente dall’inglese arcaico stresse, sofferenza o patimento, dal francese estresse, ristrettezza, abbreviativi dal latino districtus, come un’esperienza di particolare gravità che compromette il senso di stabilità e continuità fisica o psichica di una persona. Attualmente si parla di eustress quanto non viene superata una soglia assolutamente personale ed individuale oltre la quale si determinano condizioni di disagio e sofferenza configurandosi il cosiddetto distress. Per stress L’ISPESL (2002) propone la definizione di stress per il quale si intende “una risposta non specifica dell’organismo davanti a qualsiasi sollecitazione si presenti innestando una normale reazione di adattamento che può arrivare ad essere patologica in situazioni estreme”, cui ad una prima fase di allarme segue una seconda fase di resistenza. Laddove perdurino gli stressor si instaura una fase di esaurimento funzionale con disordini comportamentali, biologici e psicofisiologici. Procede parallelamente l’instaurarsi del burn-out, per il quale si intende una progressiva perdita di idealismo di energia e di scopi quale risultato di condizioni disagevoli di lavoro. Churchill’s Medical Dictionary (ed. 1998) definisce lo stress “un fattore o una combinazione di fattori fisici, chimici o psicologici che alterano l’omeostasi o il benessere di un organismo e che producono una reazione di difesa”, mentre secondo altri (1987) è “uno stato di elevata attività dell’endocrino e del sistema nervoso vegetativo con stimolazione diffusa del simpatico come espressione della reazione a stimoli violenti che attaccano la integrità dell’organismo”. Tali definizioni da un lato soddisfano criteri eminentemente clinici ma appaiono poco soddisfacenti sotto il profilo più strettamente medico legale, in particolare in quanto sovrappongono fattori causali ed elementi consequenziali, ossia non distinguono l’elemento fornito di rilevanza causale dalle conseguenze dell’esposizione allo stesso. In vero, il concetto di stress in letteratura è estremamente confuso, rappresentando un contenitore infarcito di considerazioni teoretiche e cliniche provenienti dalle più svariate origini. Tale confusione è stata probabilmente originata dallo stesso Freud, il quale ha cercato ripetutamente, ma senza esito soddisfacente, di racchiudere all’interno di una stessa cornice concettuale, sia la reazione ad un trauma, inteso come evento esterno che soverchia le capacità di difesa e di adattamento di un individuo, che il processo di difesa rivolto verso pulsioni inaccettabili, ovvero una commistione di meccanismi dissociativi e di evitamento (repressione, rimozione), rivolti a eventi interni o esterni (Giannantonio, 2003). A nostro avviso la caratterizzazione più adeguata è quella del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IVª Edizione (DSM-IV), che caratterizza con precisione ed adeguatezza la criteriologia clinica indispensabile ai fini diagnostici ed il percorso diagnostico stesso in ambito psichiatrico, connota in maniera precipua lo stress, per il quale si intende un “fattore traumatico estremo che implica l’esperienza personale diretta di un evento che causa o può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce all’integrità fisica, o la presenza ad un evento che comporta morte, lesioni o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona, o il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altra persona con cui è in stretta relazione”. Quella del DSM-IV, in accordo con Sgarro (1997) e con Briere (1997), è una definizione restrittiva, ma ha il pregio di privilegiare aspetti di tipo oggettivo, identificando un evento traumatico tra quelli che la maggior parte delle persone vivrebbe come tali e consentendo l’escludere di etichettare come trauma qualunque evento “negativo” possa accadere. Un evento stressante, in sintesi, è un evento rilevante, facilmente individuabile, collocabile chiaramente nel tempo e nello spazio. Il limite maggiore del DSM-IV è che trascura ogni tipo di valutazione soggettiva e le manifestazioni che possono ingenerarsi in situazioni di stress prolungato nel tempo (Foa e coll., 2000). Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è la più importante, grave, caratteristica e meglio studiata condizione psicopatologica connessa ad una esperienza traumatica. Identificato nosograficamente nel 1980, nel DSM-III trova le sue radici nella descrizione di “nevrosi post-traumatica” di Oppenheim (1892) o in quella di “nevrosi da spavento” di Kraepelin (1896), è stato sempre associato nella pratica comune non esclusivamente ad eventi assolutamente eccezionali (Kaplan e coll., 1994; Fornari, 1998). Il DSM-IV, relativamente alla PTSD, impone una criteriologia diagnostica rigorosa ma che presenta alcuni aspetti critici. Tra questi i principali, secondo studi recenti (Briere, 1997; Carlson e Dalenberg, 2000), sono rappresentati dal fatto che tra le condizioni previste non vengono considerate altre condizioni che sotto il profilo clinico è corretto considerare traumatiche, quali l’abuso psicologico, la separazione ed il divorzio di familiari anche se non vissuti nell’infanzia, condizioni di abuso fisico, la mancanza di sintonizzazione emozionale nell’infanzia da parte delle figure di accudimento, importanti cambiamenti di vita, un licenziamento, ristrettezze economiche protratte o improvvise, gravi alterazioni nella gestione dell’accudimento di un bambino, condizioni che non soddisfano le modalità di identificazione di una stress, ma che si estrinsecano minando il senso dell’integrità del Sé e potenzialmente determinare un esito psicopatologico rilevante. Secondo i già citati Carlson e Dalenberg (2000) i criteri adottati dal DSM-IV, che tra l’altro elenca le situazioni potenzialmente traumatiche, specificando che tali situazioni potenzialmente traumatiche “non sono limitate a” quelle incluse nell’elenco, definisce che cosa è e che cosa non è un evento traumatico senza un fondamento clinico o teoretico solido per cui in base agli attuali parametri diagnostici di una PTSD molte situazioni stressanti potenzialmente traumatiche non possono dare origine ad un PTSD, ma al massimo ad un disturbo dell’adattamento. Altro punto critico del DSM-IV è rappresentato dal problema dell’intrusività: per porre una diagnosi di PTSD si deve riconoscere nel soggetto sofferente un continuo rivivere elementi connessi con gli episodi traumatici. Questo parametro non tiene conto del meccanismo di evitamento esercitato nei confronti di pensieri, immagini, sensazioni, emozioni, luoghi o persone che possano in qualche modo richiamare l’evento, per cui una persona può vivere relativamente libera da sintomi intrusivi, né considera l’ottundimento della reattività generale, presente a volte all’inizio di un PTSD o in una alcune sue fasi. L’ICD-10, per esempio, correttamente sec. Mitchell e coll. (1996) non considera l’intrusività quale elemento fondamentale per porre la diagnosi di PTSD. Ancora, per quanto riguarda la risposta iniziale e soggettiva all’evento, probabilmente è troppo restrittivo richiedere che una persona abbia sperimentato orrore, impotenza o paura al momento dell’evento, così come richiesto dal DSM-IV (Carlson e Dalenberg, 2000), in quanto talora si assiste ad una reazione di tipo marcatamente dissociativo da rendere sostanzialmente nulla la percezione delle emozioni,. Ci si riferisce a fenomeni come alla dissociazione peritraumatica, caratterizzata da derealizzazione, depersonalizzazione e lacune mnestiche (Bremner e Marmar, 1998) che sembrano correlati alla gravità sia dell’evento che della PTSD, mentre non va sottaciuto che numerose osservazioni sono estremamente suggestive del fatto che in coincidenza di un trauma si possa verificare una significativa modificazione dello stato di coscienza, tale per cui parte delle esperienze traumatiche vengono memorizzate in stati di coscienza differenti rispetto a quello ordinario, producendosi in questo modo una dissociazione fra stati di coscienza e funzioni mnestiche. L’elemento a nostro avviso fondamentale nella criteriologia proposta dal DSM-IV è l’aver rimarcato, al di la di ogni interpretazione ermeneutica o deterministica, l’importanza della diagnosi clinica e fenomenologica, trascurando, correttamente altri tipi di approcci diagnostici che mal si prestano ad ipotesi interpretative. In accordo co Williams e coll. (1999) anche la stadiazione in livelli di gravità tramite test psicometrici o scale di valutazione sono poco utili ai fini diagnostici. L’ICD-10 fornisce sotto certi aspetti una versione più ristretta del concetto di trauma, in quanto richiede che si tratti di un evento estraneo all’esperienza umana abituale, ma appare poco aderente ad una metodologia diagnostica condivisibile in ordine alle patologie da stress. L’ICD-10 riconosce che precedenti esperienze traumatiche può rappresentare un fattore di rischio importante per lo sviluppo di disturbi post-traumatici, anche duraturi: tale elemento diagnostico, a nostro avviso, è di degno di rilievo ai fini di una adeguata comprensione della fenomenologia psicopatologica in tutte le patologie da stress e al fine del riconoscimento di un rapporto di causalità. 
 CONCLUSIONI 
 Lungi dal voler pervenire a risultati definitivi, per ottenere i quali sarebbe indispensabile adottare una metodica di studio di tipo longitudinale, eticamente non corretta, e, soprattutto, un campione molto più ampio e randomizzato tale da permettere una adeguata indagine statistica, i risultati ottenuti nel presente studio permettono di evidenziare alcuni aspetti fondamentali sia in ordine alle problematiche clinico-diagnostiche connesse alle patologie da stress, sia anche in relazione alle complesse problematiche di ordine medico-legale. In primo luogo è evidente che le indagini psico-diagnostiche strumentali classiche tese a quantificare il danno psicologico nelle differenti aree di indagine sono di scarsa utilità diagnostica. Al contrario il test di Eysenk assume un rilievo fondamentale, in quanto, nonostante l'esiguità del campione esaminato, consente di estrapolare profili di personalità a rischio di patologia e pertanto, a nostro avviso, potrebbe essere uno strumento di indagine utile sia nella diagnosi e nell’approfondimento strumentale della strutturazione personalità premorbosa, che nella prevenzione delle patologie da stress. Infatti, sotto tale ultimo profilo l'identificazione ed il riconoscimento dei soggetti nei quali una eventuale esposizione ad un evento psicotraumatizzante può determinare una sequela psicopatologica può indirizzare interventi di supporto tesi al rafforzamento motivazionale, oltre che alla identificazione e alla esclusione dei soggetti a rischio Altro aspetto emerso da presente studio di fondamentale rilevanza è costituito dal fatto che il riconoscimento dapprima clinico e poi medico-legale di un evento traumatizzante deve essere sempre effettuato con un rigorismo metodologico e tramite una adeguata criteriologia, fondando il processo logico deduttivo sotteso al riconoscimento della valenza causale di un evento sulla base della criteriologia imposta dal DSM-IV, pur con i limiti già espressi. Infatti la concettualizzazione e la caratterizzazione di uno stress va integrata sempre, nell'esame delle singole fattispecie caso per caso, con lo studio attento dei fattori individuali favorenti o predisponenti o persino slatentizzanti un consequenziale quadro nosografico. Ne deriva l'indispensabilità di una assoluta cautela da parte del sanitario nei casi in cui debba esprimersi se un determinato evento psicotraumatizzante è fornito dei requisiti di necessità e sufficienza per i quali tra un fenomeno antecedente ed una susseguente vi sia un rapporto non di mera temporalità, ma di causalità ossia l'evento precedente è responsabile etiofisiopatogeneticamente e, quindi, causalmente del determinismo di una condizione psicopatologica rilevante. Infine, appare opportuno evidenziare che il richiamo all'estrema cautela è anche dettato dalla necessità che il Legislatore non ha mai identificato o connotato uno stress, ad eccezione di quanto previsto dall'art. 54 C.P. (Stato di necessità). Esso recita "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile …". Tale dettame assume, a nostro avviso, un rilievo fondamentale in quanto caratterizza in maniera rigorosissima la condizione di pericolo che, per analogia, può essere assimilata ad un evento stressante. Deve esservi l'esposizione ad un pericolo attuale, ossia non remoto o ipotetico, di danno grave alla persona, intendendosi con tale terminologia quanto rientra in altre fattispecie di rilevanza giuridica, ossia la morte o le lesioni personali che potrebbero derivare alle vittime dell'evento, comunque non causato né evitabile dalla vittima stessa. Tale ultime considerazioni sembrerebbero essere confermate dl fatto che nel campione esaminato vi è una prevalenza di quadri psicopatologici gravi, o, comunque, di maggiore spessore clinico, nei casi in cui l'evento ha determinato un reale, attuale ed imminente pericolo di vita.